Geometrie civili
La città di muri, tra esclusione e inclusione
“Ci si chiede se il rapporto con gli altri soggetti non abbia parte nella costituzione di uno spazio unitario. Ad ogni modo abbiamo questa particolare identificazione, nella quale vengono identificate le cose viste da me e quelle che si suppongono come viste dagli altri (…) e così le cose divengono cose comuni di molti io. Molti Io – uno spazio, un tempo, un mondo di cose per tutti.”
Edmund Husserl
La storia della civiltà occidentale ha origine nella costruzione di un muro, matrice essenziale della città primigenia: l’originario solco romuleo, dispositivo geometrico che divide, separa il mondo del ‘noi’ da quello del ‘loro’, creando il pomerium, il recinto sacro di Roma.
Il Fondatore mette al sicuro i suoi mediante il solco/muro, che è linea retta e al contempo misura del mondo antico, cioè regula: la riga/misura/limite fisicamente impressa dall’uomo nel paesaggio, di cui così si impadronisce, diviene sul piano metafisico norma di comportamento.
Essa dispone che chi è fuori non entri, se non a determinate condizioni, ma anche che chi è dentro non varchi il limite: l’imposizione dell’Urregel che divide un campo interno da uno esterno implica l’assoggettamento ad una norma secondaria, attraverso la quale l’uomo si autolimita.
Romolo, l’uomo politico originario, è così necessitato a uccidere sinanche il fratello, l’uguale a sé, riconoscendolo, come hostis, nemico, altro da sé, ove egli non sia disposto a lasciarsi aggiogare (ius, il diritto, e iugum, il giogo, condividono il medesimo radicale) dal dispositivo della regula.
Il muro divide e rassicura al contempo, sotto la minaccia della sanzione in cui incorre chi non sia disposto a riconoscerlo come misura del vivere sociale: il prezzo è la libertà di Remo, dell’Altro, di dissentire.
Da un muro a molti muri: il moltiplicarsi dei solchi orizzontali genera la verticalità complessa della Roma classica, l’Urbs, la città ideale, costruita a partire da un incrocio pre-cartesiano di linee fondative, che si ripetono in una sequenza rappresentativa del ritmo stesso della civiltà.
Tale matrice, identica, si ripete in ogni città del territorio romanizzato, onde riproporre una topografia degli spazi civici che rassicuri il viaggiatore: ovunque vada, nell’impero, il civis ritrova riferimenti, luoghi, dimensioni, ritmi che gli sono famigliari, pur nella diversità anche grande di latitudini a volte assai diverse.
La città diventa così spazio comune, spazio che accoglie le diversità; gli edifici civili offrono occasione di incontro e non di scontro; gli spazi, ricorsivi ma non omologati, divengono il telaio possibile di una rete di rapporti che trova la sua trama nel paradigma del ‘civis sum’, anelito collettivo alla sicurezza dell’appartenenza e della cura reciproca.
È in queste dinamiche relazionali originarie tra luoghi e persone, nelle impronte archetipiche che esse lasciano nella coscienza dell’uomo occidentale, che sta inscritto ad un tempo tutto il potenziale positivo e negativo della cultura occidentale, in relazione al bisogno essenziale dell’uomo di sentirsi sicuro.
Prof.ssa Barbara Biscotti
Università Milano-Bicocca